domenica 16 giugno 2013

Il nichilismo come condizione psicologica - Nietzsche

Il nichilismo come condizione psicologica dovrà subentrare in primo luogo se avremo cercato un "senso" in tutto ciò che avviene, senso che non vi si trova: così che il cercatore finisce per perdersi d'animo. In questo caso, nichilismo è diventare consapevoli della lunga dissipazione di forza, il tormento dell'"invano", l'incertezza, la mancanza di occasioni per un ristoro qualsiasi, per acquietarsi ancora in qualche luogo - la vergogna di se stessi, come se ci si fosse troppo a lungo ingannati... Quel senso avrebbe dovuto essere l'"osservanza" di un canone morale supremo in ogni occasione, l'ordinamento morale del mondo; o l'aumento dell'amore e dell'armonia nei rapporti tra le creature; o l'avvicinarsi a uno stato di felicità universale - uno scopo è sempre un senso.
L'elemento comune a tutte queste rappresentazioni è che un qualcosa debba essere raggiunto attraverso il processo in questione - e ora si comprende che col divenire nulla si ha di mira, nulla si raggiunge... Onde la delusione circa un preteso scopo del divenire come causa del nichilismo: sia in rapporto ad un fine ben determinato, sia che, generalizzando, si tratti di constatare l'insufficienza di tutte le ipotesi finalistiche sinora formulate, riguardanti l'intera "evoluzione" (l'uomo non più collaboratore, e men che mai centro del divenire).
In secondo luogo il nichilismo come stato psicologico subentra quando si sia posta una totalità, una sistematizzazione, prefino un'organizzazione in ogni accadimento e nell'insieme di tutto ciò che avviene: così che l'anima assetata di ammirazione e di venerazione si libra nella rappresentazione complessiva di una suprema forma di dominio e di governo (se è l'anima di un logico, allora per far quadrare tutto bastano già l'assoluta consequenzialità e la dialettica reale...). Una specie di unità, una qualche forma di "monismo"; e in conseguenza di questa fede l'uomo, vivendo in un sentimento di profonda connessione e di dipendenza da un Tutto a lui infinitamente superiore, è un modo della divinità... "Il bene del Tutto esige il sacrificio del singolo"... Ma guarda un po': questo Tutto non esiste! In fondo, l'uomo ha perduto la fede nel proprio valore, se attraverso questo valore non agisce un Tutto infinitamente pieno di valore: ossia ha concepito un tale Tutto per poter credere al proprio valore.
Il nichilismo come stato psicologico ha ancora una terza e ultima forma. Date queste due idee, che col divenire non si debba mirare a nulla, e che nella totalità del divenire non domini alcuna grande unità in cui il singolo possa interamente immergersi come in un elemento di supremo valore, resta come scappatoia il condannare tutto questo mondo del divenire come illusione e inventare un mondo che si trovi aldilà da quello, come mondo vero. Ma non appena l'uomo si accorge che questo mondo è stato predisposto solo per bisogni psicologici, e senza alcun diritto, allora sorge l'ultima forma del nichilismo, che implica l'incredulità in un mondo metafisico - che si vieta la credenza in un mondo vero. Da questo punto di vista si ammette la realtà del divenire come unica realtà, ci si vieta ogni sorta di passaggio segreto verso retromondi e false divinità - ma questo mondo, per sopportarlo, bisogna rinnegarlo.
Alla fine, che cosa è avvenuto? Si è mirato al sentimento della mancanza di valore quando si è compreso che nè con il concetto di "scopo", nè con quello di "unità", nè con quello di "verità" può essere legittimamente interpretato il carattere complessivo dell'esistenza. Nè si mira più a nulla, nè si raggiunge più nulla; manca l'unità che raccoglie la molteplicità degli eventi: il carattere dell'esistenza non è "vero", è falso... Non si ha più assolutamente alcun motivo per persuadersi della favola di un mondo vero...
In breve: le categorie di "scopo", "unità", "essere", con cui abbiamo attribuito un valore al mondo, sono di nuovo ritirate da noi - e ora il mondo sembra privo di valore... Posto che noi abbiamo riconosciuto in che misura non sia legito interpretare il mondo con queste tre categorie e che secondo questa opinione il mondo comincia a diventare per noi privo di valore, allora dobbiamo per forza domandarci donde provenga la nostra fede in queste tre categorie - vediamo se non sia possibile revocare loro la fede. Quando avremo svalutato queste tre categorie, la dimostrazione della loro inapplicabilità al Tutto non sarà più una ragione per svalutare l'universo.
Risultato: la fede nelle categorie della ragione è a causa del nichilismo, noi abbiamo commisurato il valore del mondo a categorie che si riferiscono a un mondo puramente fittizio.
Conclusione: Tutti i valori coi quali abbiamo finora tentato in primo luogo di rendere il mondo apprezzabile per noi e che hanno finito appunto per svalutarlo quando si sono dimostrati inapplicabili - tutti questi valori, riconsiderati psicologicamente, sono i risultti di determinate prospettive utilitaristiche, stabilite per conservare e accrescere l'immagine dell'uomo come dominatore, ed erroneamente proiettate nell'essenza delle cose. E' sempre l'ingenuità iperbolica dell'uomo: quella di porsi come senso e criterio di valore delle cose.